Qualcuno troverà strano che un oggetto vezzoso come un ventaglio della metà dell’800 possa andare oltre alla connaturata utilità e raccontare una tra le pagine più significative della storia risorgimentale del nostro paese.
Il raro esemplare pieghevole con la pagina in carta litografata e acquerellata e le stecche in osso tinte di bianco, rosso e di un verde un po’ sbiadito riporta, sul recto, un’immagine di guerriglia urbana. Rappresenta una delle numerose barricate che i milanesi nel corso della rivolta anti austriaca a tutti nota come “Le cinque giornate di Milano” (18-22 marzo 1848) allestirono nelle vie della città per combattere e contrastare il nemico usurpatore, a quel tempo impersonato dal Feldmaresciallo boemo Josef Radetzky (Sedičany 1766-Milano 1858) e dalle sue migliaia di uomini.
Sulla scia dei movimenti rivoluzionari di Palermo del gennaio dello stesso anno, che innescarono la miccia delle agitazioni contro i regimi assolutisti in varie parti del territorio italiano ed europeo portando in alcuni casi alla concessione della costituzione e incoraggiata, in particolare, dalla rivolta di Vienna, anche Milano, capitale del Regno Lombardo-Veneto soggetto al dominio asburgico, il 18 marzo insorse dopo il tentativo di una manifestazione pacifica davanti al Palazzo del governatore Radetzky. Dopo tre giorni di scontri la situazione era in stallo e il comandante austriaco che controllava le mura spagnole e il Castello Sforzesco fece pervenire la proposta di una tregua che divise il Comando di guerra costituitosi per coordinare le operazioni dei rivoltosi: se da un lato i moderati aristocratici erano disposti ad accettare l’armistizio e a coinvolgere il Re di Sardegna Carlo Alberto (Torino 1798-Oporto 1849) con la speranza di poter conservare i propri privilegi sotto un regime monarchico, dall’altra i democratici riformisti erano contrari a qualsiasi accordo nella convinzione che la strada della rivoluzione fosse quella più efficace e risolutiva. Ebbero la meglio questi ultimi e la lotta riprese con rinnovato vigore mentre veniva costituito un governo provvisorio. Gli attacchi contro alcune porte dei bastioni spagnoli inizialmente non sortirono alcun effetto, ne ebbe, invece, quello alla Porta Tosa che il 22 marzo venne conquistata e sulle cui rovine venne issata la bandiera tricolore. La sua presa determinò il successo dei rivoltosi tanto da venire in seguito ribattezzata Porta Vittoria.
Proprio a tale decisivo episodio dell’insurrezione milanese richiama una delle scritte che si leggono sui muri delle case raffigurate sul ventaglio patriottico: oltre a “Coraggio”, “Viva l’Italia”, “Unione”, “Morte ai ladri” si legge infatti anche “Quest’oggi a Porta Tosa” come pure al centro della rappresentazione “Muojo per la patria” tracciato su un foglio da un rivoluzionario ferito aiutato da due fanciulle e il cui cappello “alla calabrese” – simbolo della sollevazione del popolo italiano contro le tirannie straniere e proibito dalla Polizia milanese – è riverso a terra.
In un medaglione sul verso della pagina del ventaglio un rivoltoso riceve da due donne una spada e la fascia tricolore mentre regge una bandiera, sempre tricolore, con la scritta “Italia libera Dio lo vuole”.
A seguito della sconfitta, la notte tra il 22 e il 23 marzo, il Feldmaresciallo e i suoi soldati si ritirarono dirigendosi verso il Quadrilatero, il territorio fortificato dagli Austriaci nel Lombardo-Veneto compreso tra le fortezze di Peschiera, Mantova, Legnago e Verona, un vero baluardo difensivo in una zona di estrema importanza strategica.
I democratici riformisti – in primis Carlo Cattaneo (Milano 1801-Lugano 1869) il quale, diversamente anche dai mazziniani repubblicani che aspiravano a una repubblica unitaria, riteneva il federalismo la risposta ideale all’assolutismo – videro disattesa parte delle loro decisioni, in quanto Carlo Alberto – in appoggio agli insorti e su richiesta dei moderati aristocratici che temevano possibili degenerazioni rivoluzionarie – il 23 marzo apriva le ostilità contro l’Austria dando inizio alla Prima guerra di indipendenza. Il conflitto si concluse l’anno successivo con la sconfitta dell’esercito sabaudo inadeguatamente comandato e lasciato solo dagli altri sovrani inizialmente alleati, che a un certo punto sospettarono prevalere tra gli intenti del Re di Sardegna solo quello di annettere la Lombardia. A seguito della battaglia di Custoza nell’agosto dello stesso 1848 gli Austriaci rientrarono a Milano.
Come sottolinea Aldo Dente nel libro Seducendo con l’arte : la collezione di ventagli dei Civici Musei di Storia ed Arte di Trieste (2003) l’esemplare oggetto di questa breve esposizione è molto raro anche perché, all’epoca, chi lo possedeva correva il rischio di venir fucilato.