Il focus odierno riguarda alcuni disegni “adottati” dal Museo intitolato a Diego de Henriquez, da quando la documentazione di Storia Patria ha lasciato l’ottocentesca e signorile sede di via Imbriani per approdare negli spazi più moderni e austeri dell’ex Caserma “Duca delle Puglie”.
Vista la natura di tali rappresentazioni grafiche, la struttura di via Cumano le ha percepite immediatamente come proprie e quindi le presenta come facessero parte da sempre del patrimonio archivistico dell’Henriquez. Il denominatore comune è quello della guerra, in particolare la propaganda nel Primo conflitto mondiale, quando, da uno stadio arretrato e indefinito inizia via via a prender forma strutturata per poi consolidarsi in seguito alla disfatta di Caporetto: un tema, quello della comunicazione diffusa in tempo di guerra, ampiamente analizzato nella sezione 3 del percorso museale attualmente aperto al pubblico. E proprio a questo ambito i bozzetti di Tito Zivelonghi potrebbero essere riconducibili. Conosciamo molto poco dell’autore se non alcuni titoli di quadri a lui attribuiti dall’ASAC (Archivio Storico delle Arti Contemporanee): La villeggiatura (1900), Sciatrici (1900), Contadini (1900), Musica in un interno (1925-1926) e Due donne in barca (1928) e la notizia – riportata dal quotidiano triestino “Il Piccolo” del 31 luglio 2004 – che fu allievo dell’artista Ettore Tito (Castellamare di Stabia 1859-Venezia 1941). È inoltre citato nell’Archivio della Reale Accademia d’Italia, nella sezione dei concorrenti a premi accademici e a borse istituite da diverse fondazioni.
Il cognome Zivelonghi ha avuto e ha ampia diffusione in Veneto, pertanto è ipotizzabile che la terra d’origine del pittore sia stata questa regione. Lo confermerebbero anche “gli immacolati paesaggi cadorini di Tito Zivelonghi” presenti nella mostra Il racconto della montagna nella pittura tra Ottocento e Novecento attualmente allestita al palazzo Sarcinelli di Conegliano Veneto.
Non si può escludere un suo legame con la città di Trieste, ma a livello di mera frequentazione, in quanto non fu mai registrato all’anagrafe della città.
I disegni selezionati per la narrazione odierna fanno parte di un nucleo più ampio, di argomenti vari ma sempre incentrati sull’uomo, in cui troviamo anche disegni eseguiti in matita sanguigna, ad acquerello – molti nella tonalità del verde -, alcuni olio su tavola di piccole dimensioni e fotografie, comprese diverse foto-cartoline raffiguranti opere di Zivelonghi che ci confermano come egli fosse in familiarità con questo mezzo di comunicazione e di divulgazione.
La prima cosa che colpisce in diverse delle creazioni afferenti alla Grande Guerra sono i volti e le mani dei soldati o dei civili rappresentati: sono di proporzioni maggiori rispetto al resto quasi a voler evidenziare due tra i fattori caratterizzanti l’essere umano, la mente e le sue interpreti, le mani appunto. Mani che possono essere ostili o offrire del pane in segno di conciliazione, che sottolineano la sofferenza o l’accoglienza, mentre i visi dai tratti incisivi e talvolta grotteschi trasudano dolore e fatica o rassegnata nostalgia di casa. Sono i punti focali in questo caso prediletti dall’artista. Ed è il colore azzurro che domina nella maggior parte delle rappresentazioni – avvolgendo sfondo e figure – a rendere meno cupe le ambientazioni, lasciando al nero della china, della matita e dell’acquerello il compito di esplicitare gli argomenti scelti.
Le rappresentazioni nel loro complesso, la presenza dei titoli su ognuno di esse, i temi graficamente descritti e il tipo di esecuzione, a volte retorica e rispondente a schemi tradizionali certamente comprensibili da tutti gli strati della popolazione, fanno ragionevolmente ipotizzare una loro destinazione a strumenti di divulgazione, come le cartoline e i manifesti, anche se non abbiamo riscontro di una loro trasposizione su altri supporti. Ma possono essere state esse stesse assegnate a tale scopo e ostese – i fori di piccoli chiodi negli angoli delle carte proverebbero una loro esibizione – in ambiti e tempi imprecisabili.
Le raffigurazioni non promuovono prestiti di guerra né ritraggono satiricamente i nemici, mostrano l’eroismo dei combattenti impegnati al fronte ormai lontani dagli stereotipi ante Prima guerra mondiale quando le illustrazioni, anche di argomento militare, erano abbellite da elementi floreali, da aggraziate fanciulle e da soldati composti in divisa. C’è un linguaggio secco ed essenziale che tocca la sfera sentimentale delle persone facendo leva su alcuni aspetti psicologici tesi alla formazione di opinioni condivise e di una preparazione morale utile a sostenere gli sforzi dei militi in prima linea, come anche a esaltare lo spirito patriottico e le ragioni del conflitto.
Diego de Henriquez ci perdonerà se, in questo caso, abbiamo prediletto un nucleo documentale “di adozione” rispetto a quelli da lui collezionati o prodotti, ma siamo certi che avrebbe approvato la scelta di dare spazio a immagini che così compiutamente sono in grado di raccontare la drammaticità delle condizioni dell’uomo in guerra suscitando, simultaneamente, un profondo desiderio di pace.