Der Matrose in Eisen, ovvero … il Marinaio di ferro

Al primo piano del Museo, nella sezione dedicata a Trieste durante la Grande Guerra, un oggetto curioso – quanto resta di un fucile in legno costellato di chiodi di ferro – attira l’attenzione del visitatore che si chiede quale sarà mai stata la sua origine. È quanto rimane del “Marinaio di ferro”, detto anche “Marinaio” o “Omo de fero”, un monumento ligneo eretto dall’Austria in piazza Grande nel 1916. Giuseppe Bellucci nel suo libro I chiodi nell’etnografia antica e contemporanea, pubblicato nel 1919, racconta che la statua venne solennemente inaugurata il 20 giugno 1916 nel cinquantesimo anniversario della battaglia navale di Lissa, conclusasi con una delle più umilianti sconfitte della Regia Marina Italiana. Una data, pertanto, scelta non a caso.

1.- "Il "Marinaio di ferro" collocato in piazza Grande, l'odierna piazza Unità d'Italia

Secondo Bellucci, dopo i discorsi inaugurali del cav. Luigi de Bernetich-Tomassini presidente della Società Triestina Austria, promotrice dell’iniziativa, del Governatore Barone Alfred von Fries-Skene e di uno dei massimi esponenti della Marina austro-ungarica – che egli chiama “contrammiraglio Hudeika”, molto probabilmente il contrammiraglio Alfred von Koudelka Comandante del distretto marittimo di Trieste -, il vescovo monsignor Andrej Karlin (Stara Loka 1857-Maribor 1933) benedisse il monumento raffigurante un soldato di marina in atteggiamento di riposo mentre stringeva al petto, con il braccio destro, il fucile con la baionetta inastata. Emergeva da un basamento realizzato a forma di scoglio e di forma irregolare: il marinaio guardava in su, quasi cercasse ispirazione nell’infinito del cielo o stesse attendendo qualcosa dall’alto. Narra, inoltre, che il 1° agosto dello stesso anno una squadra di velivoli italiani sorvolò il cielo di Trieste lasciando cadere una bomba nel giardino di piazza Grande, fra la Luogotenenza e il palazzo del Lloyd, frantumando la statua lignea e disperdendo i pochi chiodi conficcati, compreso quello inaugurale: gli Austriaci, però, non si scoraggiarono e il 16 ottobre offrirono alla città il simulacro di un nuovo marinaio sempre con lo scopo di raccogliere fondi a beneficio delle società patriottiche.

Durante il lavoro preparatorio alla stesura di questa breve esposizione non è stata trovata conferma a tutte le informazioni tramandate dall’etnografo umbro e l’unico “Marinaio di ferro” locale di cui si ha notizia risulta essere stato eretto in piazza Grande il 9 luglio 1916. Fu effettivamente promosso dalla Società Triestina Austria a favore delle vedove e degli orfani di guerra ed è verosimile ipotizzare fosse stato inaugurato alla presenza delle autorità citate da Bellucci. Una scritta suggellò il suo posizionamento nella suggestiva piazza del porto adriatico: “Trieste mi pose / con pensiero benefico / a gloria degli eroi / pro Imperatore e Patria”.

2.- Quanto rimane del fucile chiodato oggi esposto al primo piano del Museo de Henriquez (Foto Marino Ierman – Fototeca CMSA)

Fu senza dubbio una delle Nagelfiguren (statue chiodate) divenute popolari nell’Impero tedesco e in quello austro-ungarico durante il Primo conflitto mondiale quale forma di propaganda e di raccolta fondi per i membri delle forze armate e per i loro familiari. Erano statue di legno, solitamente raffiguranti cavalieri in armatura, in cui venivano piantati chiodi di ferro o d’argento o d’oro in cambio di donazioni di importi diversi. La prima a essere istituita fu la cosiddetta Wehrmann in Eisen o Eiserner Wehrmann (guerriero di ferro) di Vienna realizzata in legno di tiglio dallo scultore Josef Müllner (Baden 1879-Vienna 1968) e collocata nella Schwarzenbergplatz a partire dal 6 marzo 1915. Con circa 500.000 chiodi infissi, venne rimossa alla fine del conflitto e relegata in un deposito per poi venire nuovamente installata nello stesso luogo, nel 1934, per sostenere le spese utili all’esecuzione di un monumento commemorativo in onore degli eroi caduti nella Grande Guerra. Il 12 ottobre, sempre del 1934, fu infine sistemata sotto i portici del palazzo che oggi ospita il nuovo MUSA Artothek (Museum Startgalerie Artothek), nei pressi del municipio.

3.- Cartello promozionale dell'iniziativa, con le scritte in tedesco, italiano e sloveno. Sono indicati i costi dei chiodi realizzati in materiali diversi (Foto Marino Ierman – Fototeca CMSA)

L’idea di realizzare “i soldati di ferro” venne a un Capitano di corvetta austriaco che si ispirò allo Stock-im-Eisen (bastone nel ferro o bastone ferrato), ovvero al tronco d’albero ancora oggi conservato a Vienna in una nicchia vetrata posta all’angolo tra la Stock-im-Eisenplatz e la Kärtner Strasse sullo splendido palazzo neo-barocco delle storiche assicurazioni Equitable eretto nel 1891 non lontano da Santo Stefano: ogni fabbro itinerante che arrivava nella città doveva piantare un chiodo per propiziarsi un sereno ritorno a casa. Altra tradizione vuole fosse il frutto dell’abitudine dei viandanti soliti a segnalare il loro passaggio nelle località conficcando chiodi in alberi prestabiliti o nei pali segna-via. Il tronco bipartito di abete rosso, alto circa 2,20 m, è tenuto in posizione da alcune fasce di ferro, una delle quali riporta la data del 1575 e le iniziali HB, probabilmente quelle di Hans Buettinger il viennese che in quell’anno fece sostituire le parti metalliche: da una serie di analisi risulta che la pianta iniziò a crescere attorno al 1400 e che venne abbattuta circa quarant’anni più tardi. I primi chiodi furono martellati quando l’albero era ancora in vita e risulta che già nel 1548 il ceppo fosse collocato sulla parete di una casa in quella che poi sarebbe divenuta la Stock-im-Eisenplatz.

4.- La ricevuta che veniva rilasciata a chi comprava un chiodo da battere nella statua lignea

La consuetudine dei fabbri e dei loro apprendisti – consolidatasi nel corso del XVIII secolo – di piantare chiodi nei tronchi d’albero come segno di buona fortuna, perdurò anche nell’Europa sud-orientale fino al XIX secolo e non si può escludere derivasse da un’antica usanza nata per chiedere protezione o in segno di gratitudine per una grazia ricevuta, una sorta di ex voto.

Fra tutti i monumenti in legno, eretti in varie località del territorio germanico e austriaco e destinati a finanziare la guerra come anche l’assistenza alle famiglie dei soldati uccisi, il più famoso fu quello realizzato a Berlino alla fine di agosto del 1915 con l’effigie di Paul von Hindenburg (Poznań 1847-Neudeck 1934), valoroso generale e comandante, uomo politico nonché Reichpräsident della Repubblica di Weimar dal 1925 al 1934. Alta 12 metri – contro i circa 3 del Wehrmann viennese – pesava 26.000 kilogrammi e fu calcolato che per ricoprirne la superficie sarebbero stati necessari circa 1.600.000 chiodi. Quest’ultimi, di diverso metallo e di diverso valore, non venivano messi alla rinfusa: quelli di ferro dovevano servire al rivestimento generale della statua, quelli in oro e in argento per far risaltare i particolari, come l’impugnatura della spada, la cintura, i bottoni e altro. Inizialmente in Germania l’entusiasmo per il maresciallo von Hindenburg e la fiducia in lui riposta furono straordinari per poi divenire consensi altalenanti a seconda dell’andamento della guerra: se dapprincipio il pellegrinaggio di gente al monumento rafforzò il senso di coesione e di unanimità del popolo tedesco, alcuni mesi più tardi l’atmosfera divenne del tutto diversa con le donne che reclamavano il ritorno dei loro mariti dal fronte e chiedevano pane per i propri figli.

5.- e 6.- Due Nagelfiguren erette in località stiriane, una verosimilmente a Graz

Ritornando al nostro “Marinaio di ferro” le autorità auspicavano che ogni “buon triestino” avrebbe manifestato il proprio patriottismo filoaustriaco battendo almeno un chiodo sul monumento. In realtà sembra che i chiodi acquistati nel punto vendita presso il monumento, e poi battuti, non siano stati molti, quello che è certo che non aderirono all’iniziativa i filoitaliani, molti dei quali la contestarono sarcasticamente.

Ciò nonostante il giovane e coriaceo soldato rivolto al mare rimase nella propria immobile postura fin quando i militari italiani al grido di “viva Trieste italiana” non lo abbatterono definitivamente alla fine della guerra.

Non sappiamo come parte del fucile chiodato pervenne ai Musei Civici, ma siamo grati a chi la conservò assicurandoci oggi la possibilità di raccontare un altro singolare tassello della storia cittadina.

Rimane il dubbio se la Nagelfigur di Trieste fu una sola o se ce ne furono due, come ha lasciato scritto Giuseppe Bellucci.

Alcune informazioni sono tratte da: BELLUCCI Giuseppe, I chiodi nell’etnografia antica e contemporanea. Sala Bolognese: Arnaldo Forni Editore, 1980 (1919)

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Civico Museo della Guerra per la Pace
Diego de Henriquez